giovedì 28 gennaio 2010

Umba

Quest'estate, ho conosciuto sulla spiaggia Umba.
Umba era una ragazza di trentatrè anni, senegalese, con la pelle color ebano, gli occhi grandi e scuri da gazzella, i capelli raccolti in minuscole treccine, il corpo robusto avvolto da una meravigliosa stoffa colorata, che sembrava portarsi dietro tutto l'oro del sole dell'Africa, il rosso del deserto e l'azzurro cupo del cielo.
Si trascinava sulla sabbia di ombrellone in ombrellone, tenendo in mano una testa di plastica con i capelli divisi in dread e treccine fermate da nastrini ed elastici multicolore. Passava in silenzio, guardando avanti, con la fronte imperlata di sudore e le labbra secche. Mia madre la fermò con gentilezza per chiederle se poteva fare una treccina a mia sorella, lei si avvicinò al nostro ombrellone, posò il borsone blu nel quale teneva elastici, nastrini, collane e braccialetti a terra e si sedette lenta sul bordo del lettino. Mia sorella le si posizionò di fronte, timida, e girò la folta testa riccia affinchè Umba potesse cominciare a lavorare. Aveva mani grandi e forti, eppure incredibilmente abili e veloci nell'intrecciare ciocche cosi' sottili di capelli. Il religoso silenzio in cui eravamo immerse, veniva soltanto interrotto dalle domande che mia madre le porgeva e a cui lei rispondeva, senza mai distogliere gli occhi da quello che stava facendo. Raccontò di essere sposata e avere una figlia di tre anni in Senegal, di cui ci disse il nome...lo scrisse anche sulla sabbia. Ricordo di averla guardata a lungo, ammirandola, deliziandomi per come aveva tracciato quelle lettere, facendo scivolare il dito come in una danza dell'aria immaginaria, come una preghiera agli dei del cielo, come un rito sciamanico del crepuscolo.
Le offrimmo un gelato, ci chiese un ghiacciolo al limone. Aveva sete ed era stanca, eppure sembrava infaticabile, con il grande borsone blu sulle spalle, la testa di plastica in una mano ed il ghiacciolo nell'altra. Ci rimasi un po' male quando si alzò per andarsene, pensavo che avrebbe finito almeno di mangiare il gelato con noi, volevo pregarla di continuare a raccontare, raccontare ancora. Volevo chiederle di rivederla, di lasciarmi un recapito, di diventare mia amica. Invece non dissi nulla e la salutai, guardandola allontanarsi con passo pesante, in direzione della riva. Più tardi, verso l'ora di pranzo, la vidi ripassare con un'altra donna. Si avvicinarono entrambe al nostro ombrellone ed Umba ,sorridente, presentò l'altra donna come sua sorella, poi ci salutarono e sparirono di nuovo tra gli ombrelloni.
Umba...nome rotondo e tornito come lo era lei, nome che sa di grembo, ventre caldo e materno, di braccia attorno al collo e mani giunte, di passi lenti, di gesti tracciati sulla sabbia, di stoffe colorate. Di Africa.
Mamma Africa.
Mamma...e ce ne siamo proprio dimenticati.

La notte si confonde con il mare
negli occhi la fatica dell'attesa
sognare via lontano un'altra vita
l'incontro all'orizzonte, al paradiso

L'antico forte appare tra le roccie
fantasma di un passato addormentato
memorie di catena mai spezzate
e di eterne schiavitù

Stringimi, lasciami Mama Africa, Africa
seguimi, chiamami Mama Africa, Africa

Donami la forza della lava
che ribolle nel tuo ventre violentato
perché possa riposare nel mio cuore
la rabbia che mi prende nel lasciarti andare via
che un giorno questa rabbia sia coraggio
sia radice e nuova linfa e resistenza
e maturi questa antica sofferenza in rinata dignità

Stringimi, lasciami Mama Africa, Africa
Seguimi, chiamami Mama Africa, Africa.

(Modena City Ramblers)



sabato 9 gennaio 2010

Glam angels.


Sembravano angeli.
Angeli dai corpi longilinei e delicati, le membra lunghe e proporzionate, i fisici asciutti, gentili e a tratti curvilinei, i volti variopinti come ali di una farfalla, gli occhi attenti e profondi come i passi felpati di un gatto.
E poi c'erano piume colorate che sporgevano dalle sommità delle teste, e lustrini, e brillantini, e accessori glitterati che si confondevano con lo scintillio delle luci.
Angeli-glam.
Voci cosi' soavi, quasi ultraterrene, gesti ampi e armoniosi, movimenti coreografici.
Ma dicono che gli angeli non abbiano sesso.
Si', si' che ce l'hanno, ma a noi mortali ci è cosi' silenziosamente velato...non lo vediamo, non lo capiamo, non lo vogliamo capire. E loro di giorno si nascondono come crisalidi, senza nessuna sottile timidezza, quanto per lasciarci ancora nell'ombra dell'incertezza.
Poi quando riesci a vederli, perchè prima di tutto riesci a percepirli, resti abbagliato come davanti alla luce di una cometa, come fossi al centro di un antico culto pagano.
Guardali, sono bellissimi.
E sai cosa? Non sembrano angeli. Lo sono.