Voci assordanti dalla strada.
Bambini in bicicletta, sciame colorato di festività chiassosa ed ingenua.
Mamme roboanti, grasse e vocianti, in ciabatte e braccia molli di carne bruna.
E' quel palazzone decadente, scrostato,
scheletro che ricovera famiglie disagiate di peruviani ed italiani
di un Sud Italia che li ha rigettati
come loro rigettano i propri figli sulla strada,
che fa da alveare ad una qualche molle indolenza
a me sconosciuta.
Volano parolacce, grida, risate, richiami.
Odio tutto questo.
Involucro segreto di carne, grasso,
umori viscerali, voci umane simili a latrati,
passaggio maledetto di esseri grondanti sudore,
pulsioni, battiti, grettezze e bassezze, convinzioni ataviche.
Odio tutto questo.
E' ciò che mi fa capire quanto loro siano partecipi della vita,
come animali, come formiche
che provvedono ai loro bisogni primari,
come le vacche e le giumente,
dal grosso ventre rosa riposano all'ombra.
Voglio la polvere, che sia sabbia, che sia rossa, che sia sale:
i fuochi di notte, il "qui" e l' "adesso".
E invece m'inclino, desisto, rimando
in vapori e sbuffi di inconsistenti considerazioni:
sono un puledro legato al palo della necessità,
imbrigliato dal tempo ad una casa-caserma,
ferrato a doveri e maledizioni, verticali discese
di false cause accidentali, mai naturali.