giovedì 11 dicembre 2014

Blu




- Allora, che colore vuoi?
- Blu. Voglio quello blu.
- Tieni, legalo al polso altrimenti vola via.

No, non lo legherò al polso. Papà non sa che non lo farò volare via.
Cinque anni, capelli ramati, frangetta spettinata sulla fronte bianca.
Un parco, quello delle Cascine a Firenze, una girandola sulla bicicletta e un palloncino blu in mano.
Ti chiamerò Blu, sarai il mio gabbiano.

Blu vola tra le mie mani, solca le nubi senza paura.
Poi, un giorno, mi aggrappo alla cordicella e mi solleva tra i venti.
Blu, piano, ho paura, soffro di vertigini. E se ti buchi e scoppi?
Ma Blu non mi sente, e si alza sempre di più.

Finchè, un giorno, Blu diventa un gabbiano vero.
E' bellissimo, con le piume candide e le ali grigie. Non ne avevo mai visto uno così da vicino. Lo lascio volare e taglio la cordicella.
Blu è felice, vola in alto.
Lo vedo congiungersi nel sole con la sua compagna.
Hanno un grande nido sul solaio di un palazzo, inacessibile, inviolato, sicuro.
Sono felice per Blu e vorrei dirlo al mondo intero, ma nessuno crederebbe alla storia di un palloncino che si trasforma in un gabbiano, così me lo tengo per me.

Mi sveglio sorridendo, serena per aver respirato un po' di ossigeno e aria di mare insieme a Blu e a quella bambina che ero.
Poi, di nuovo la notte.

lunedì 8 dicembre 2014

Fissità, fissazioni, affissioni sulle croci. The arms of Sorrow



Gorghi torbidi.
L'acqua scorre a fatica.
Densa, nerastra, salmastra, sanguinolenta.
Veleno, veleno ovunque.
Profezie sciolte, gli Oracoli hanno parlato. 
Il passato mi cinge la fronte con una corona di spine che entrano nella carne, penetrano nelle tempie, stillano gocce di veleno verdastro da cui succhiano voraci le mie serpi.
Rovi nella gola, idra nello stomaco, il respiro si affanna nel panico dei ricordi.
Non c'è via d'uscita.
La cortina di ferro dell'isolamento è ormai spessa.
Il lavoro è compiuto.
Fiera, brindo sul mio cadavere.
Ma the show must go on.
E l'onda scivola a fatica, il tempo è beffardamente fermo: Crono divora i suoi figli con famelica disperazione e mastica la loro carne in un eterno istante di dolore viscerale.
Destino: fissità e affissione sulla croce, nei templi dello spasmo infinito.
Vacuità delle azioni, degli intenti, nichilismo assoluto regna padrone e signore.
Adesso ne conosco il fiele.


Harvest of sorrow
Your seed is grown
In a frozen world full of cries
When the ray of light shrinks
Shall cold winter nights begin

sabato 6 dicembre 2014

Quelli che amano - J. Sabines

Quelli che amano tacciono.
L'amore è il silenzio più fine,
il più tremante, il più insopportabile.
Quelli che amano cercano,
sono quelli che lasciano perdere
sono quelli che cambiano, quelli che dimenticano.
Il cuore dice loro che non troveranno mai,
non trovano, cercano.

Quelli che amano vanno come pazzi
perché stanno soli, soli, soli,
consegnandosi, dandosi ogni istante,
piangendo perché non salvano l'amore.

Li preoccupa l'amore. Quelli che amano
vivono alla giornata, non possono fare di più, non sanno.
Sempre se ne stanno andando,
sempre, da qualche parte.
Aspettano,
non aspettano nulla, ma aspettano.

Sanno che non troveranno mai.
L'amore è la proroga perpetua,
sempre il passo seguente, l'altro, l'altro.
Quelli che amano sono gli insaziabili
quelli che sempre - meno male! - resteranno soli.

Quelli che amano sono l'idra del racconto.
Hanno serpenti al posto delle braccia.
Le vene del collo gli si gonfiano
anche come serpenti per asfissiarli.
Quelli che amano non possono dormire
perché se si addormentano se li mangiano i vermi.


Nel buio aprono gli occhi
e in loro cade lo spavento.

Trovano scorpioni sotto il lenzuolo
e il loro letto galleggia come su di un lago.

Quelli che amano sono pazzi, soltanto pazzi,
senza Dio e senza diavolo.

Quelli che amano escono dalle loro grotte
tremanti, affamati,
a cacciare fantasmi.
Ridono di quelli che lo sanno tutto,
di quelli che amano per sempre, veracemente,
di quelli che credono nell'amore come una lampada d'olio inesauribile.

Quelli che amano giocano ad afferrare l'acqua,
a tatuare il fumo, a non andarsene.
Giocano al lungo, triste gioco dell'amore.
Nessuno si può rassegnare.
Dicono che nessuno si può rassegnare.
Quelli che amano si vergognano di qualsiasi conformismo.
Vuoti, ma vuoti da una costola all'altra,
la morte li corrode dietro gli occhi,
e loro camminano, piangono fino all'alba
dove treni e galli si salutano dolorosamente.
A volte gli arriva un odore a terra appena nata,
a donne che dormono con la mano nel sesso, compiaciute,
a ruscelli d'acqua tenera e cucine.

Quelli che amano cantano tra le labbra
una canzone mai imparata,

e se ne vanno piangendo, piangendo,
la bella vita.
da PensieriParole

giovedì 4 dicembre 2014

Heroes of sand

La marea dei fluidi dei pensieri sbatte contro il faro spento dei sensi, organo cardiaco arrotolato al margine di strategie di sopravvivenza, filo elettrico fulminato dalla pioggia salata di ombre proiettate su un muro scrostato.
Gli argini della coscienza trattengono eterni ritorni, essenze stesse delle acque inquiete senza porto nè isole.

Heroes go down
With their hearts in their hands
Building their castles on the sand.


Non c'è futuro.


lunedì 1 dicembre 2014

Holy river

Dormo insieme al grigiore di questa eterna stagione.
Il cielo esplode in albe di seta e in notti di fango, si alterna la danza delle nuvole bianche come spose verso gli onirici altari di piogge equatoriali.
Il vento è forte, ha ali di falco veloce che sbattono con la rapidità di inesorabili uragani.
L'Angelo del Giudizio cava dai petti una moltitudine di cuori avvelenati, ancora grondanti sangue e tossine, ancora pulsanti umani e inconcepibili affanni.
Li immerge con violenza nelle acque di un fiume senza sorgente e resta a guardarli mentre le onde lavano via il rossore e i grumi di veleno.
L'acqua si addensa, nerastra e viscida come una biscia in agonia.
L'aurora ne mostra inerme i gorghi profondi, i pesci si contorcono tra le correnti ed emergono immobili e senza vita, viscidi scudi d'argento che brillano al sole invernale.
La luce della santa inquisizione della logica cerebrale non penetra la profonda liquidità emozionale di abissi inesplorati.

sabato 29 novembre 2014

All souls night



L'odio e l'indifferenza tagliano l'aria notturna come fosse tenera carne di una grande dea dalla pelle scura che giace addormentata, invisibile e nervosa.
Va bene così.
Tutto è compiuto,  tra i lamenti degli insonni del sabato sera, tra le trame oscure di chi si professa paladino o cavaliere alla ricerca di chissà quale drago.
Le anime della notte dormono inquiete.
Le anime della notte sono tutte unite, legate da forze occulte, paradossali catene d'arroganza ed egotismo.
Le anime della notte si ritroveranno tutte insieme, perchè si assomigliano tutte.
In fondo alla notte, oltre questo buco nero che risucchia memorie, ricordi, fili elettrici emozionali, si erge splendente il tempio di Ananke imperiosa, dove i cuori travagliati trovano riparo sin dalla notte dei tempi.
Gli occhi si chiudono, le tempie si bagnano di fortezza, Fortitudo dorata, e la mente insegna al cuore a resistere, a proteggere l'umida, sanguinante e virginale Verità che ciascuno, a suo modo, porta dentro di sè.
Spiegazzata come una sindone su un sepolcro di marmo, o un lenzuolo di nozze macchiato dall'emblematica prova di un imene lacerato, steso davanti a occhi maliziosi e indiscreti.
Le anime della notte sono simili ma inconoscibili tra di loro: sterminano etnie ed alzano pire su cui bruciano i cadaveri anneriti da ottuse convinzioni di plastica.
Stupri di guerra.
Utero cerebrale ferito.
I vortici di Ananke non confondono, ma tagliano la sottile lingua melliflua della bocca di sinapsi impazzite.

mercoledì 26 novembre 2014

S. Sebastiano

Ancora una volta.
Un letto di legno, pareti bianche, una foto di famiglia al muro.
Un computer pronuncia frasi con voce asettica e metallica.
Le tue mani, che prima pizzicavano le corde di una chitarra, sono ora serrate ai bordi di quel letto.
Gli occhi azzurri e lucidi, sono fissi allo schermo luminoso del computer agganciato a un braccio metallico.
Il polmone metallico respira con fiato alieno, meccanico, ripetitivo, come stesse gonfiando le membra di un uomo di gomma.
Non ero pronta a questo, non ero preparata.
La piccola stanza troppo calda, di un candore marmoreo, s'interseca nella memoria con quella di un Policlinico di tanti anni fa. 
I battiti nel mio petto scivolano in successione come gocce di cera di una candela a metà.
Mi aggrappo con lo sguardo a particolari stupidi e insignificanti: le tende all'uncinetto, forse troppo trasparenti, il quadro al muro che raffigura un uomo che dorme per terra, ai margini di un portone ("Che sia il suonatore Jones?" penso di fretta), le medicine accatastate su un mobile smaltato di bianco, le macchine che cooperano insieme come robot squadrati dai volti al plasma.
Ananke. Ancora una volta.
Mi torna in mente San Sebastiano trafitto da un mare di frecce: il volto bianco al cielo, gli occhi vitrei a cercare la mano di un dio tra le nuvole e il corpo inchiodato a un palo.
Lo stomaco si accartoccia come una foglia secca e mi concedo il diritto di piangere.



martedì 25 novembre 2014

Ananke


Cloto, Lachesi e Atropo.
Un destino ineluttabile, già filato, già teso, già segnato, in un punto preciso, dalla lama della forbice.
Gli eventi si inchinano alle mie previsioni, come se fossi una quarta Moira.
Spezzo il collo ai miei demoni in un bagno d'odio e di sangue, ma essi, come idra potenti si rigenerano: le teste da serpente, le fauci grondanti densi umori nerastri.
Questo è il mio Universo, qui non entra nessuno.
Finalmente, capisco.
Finalmente la vividezza dei sogni notturni illumina la verità.
La annuso, ne sento l'odore acre, so che è vicina anche se non riesco a vederla.
ANANKE.
Anche gli dei s'inchinano ad essa.
La madre delle Moire.
L'inalterabilità del fato, la forza, la necessità delle leggi della natura.
Il ferrettiano "Ciò che deve accadere, accade" mi si para davanti con tutta la sua orrorifica possente presenza.
Respiro il tremore che emana Ananke, chino la testa e obbedisco, assecondando un disperato magnetismo che, finalmente, mi rende padrona di me stessa.

The name of the rose

Dolore frontale pulsa compulsivo con prepotenza dittatoriale.
Bandiera bianca, un Moment e scivolo nel sonno.
Scendo le scale di pietra polverose. Buio e umidità sono i sovrani e penetrano imperiosi nelle ossa.
Una cripta, o forse una cella monacale poco illuminata mi si para alla fine delle scale.
Sussurri ascetici, tuniche nere disposte in circolo: il mio occhio vola sulle teste velate e scopre un piccolo letto drappeggiato di nero. Un monaco vi dorme, la pelle sottile solcata dalle rughe è un mare disteso e rassegnato al riposo eterno. 
Preghiere, incenso nell'aria e la Morte accarezza la Vita poggiandole un dito sulle labbra.
Una vecchia suora mi guarda, sfoggiandomi un sorriso isterico e insensato: ha un naso ricurvo, labbra sottili come sentieri imprecisi di terre nordiche e occhi sporgenti, languenti e lucidi, velati da una vecchiaia di demenza e verità schietta.
Mi parla piano e con voce trasognata chiede di sciogliermi i capelli.
Sgrano gli occhi, ma accolgo quella proposta priva di logica con obbedienza automatica: mi sfilo l'elastico e li lascio cadere sulle spalle e la schiena.
Quand'ecco che il monaco lascia scivolare la testa oltre il cuscino e, ripiegando il collo in modo innaturale, spalanca gli occhi azzurri di colpo. 
Si alza dal torpore dell'agonia come se si fosse ripreso da un dormiveglia pomeridiano.
Lo fisso, ha lo stesso volto della vecchia suora alienata di prima: orbite vuote ma cariche di assennatezza irreale mi scrutano il fondo degli occhi per dirmi: "Ero io la Morte. Ma ho deciso di svegliarmi".
E, allungando la gracile mano bianca verso di me, sorride con serafico e lunare appagamento.




giovedì 20 novembre 2014

Snake dreams



Tre serpenti spuntano dalle trame di una catasta di tappeti persiani.
Il primo scivola via veloce, strisciando a zig zag. 
Il secondo, enorme, giallo, scaglie lucide punteggiate di nero, apre le fauci come un mostro marino e risucchia il corpo snello del terzo, il più piccolo dei tre. 
Ne resta parte della coda fuori dalla bocca, a contorcersi e acquietarsi sotto i colpi della falce silenziosa dell'agonia.
Dolore animale.
Dolore universale.
Dolore molecolare.
Mi sveglio.
Atlante regge il mondo là fuori, sotto i caotici rombi da guerra.
Il carro del sole è già alto, ma i tre serpenti s'avvinghiano alla mia corteccia cerebrale e la stringono, causandone un'emorragia. 
Poi allentano la stretta, e la luce dalla finestra riscalda l'aria e i pensieri. 
Ma loro, là dentro, strisciano, scivolano come gocce di pioggia sui vetri della memoria e riprendono a stringere.
Notte. Birra rossa. Egotismo. Me lo ripeto a mente, mentre il serpente giallo lecca le mie sinapsi.

Slow down and I sail on the river
Slow down and I walk to the hill


Ringhio, il serpente giallo striscia lontano e mi lascia chiudere gli occhi.
Le pupille si sposano al buio della camera.
Il sangue fluisce lento e la luna si alza nel cielo freddo di novembre.

domenica 16 novembre 2014

Ossa


Conto le ossa.
Dura materia oltre la carne tenera.
Ci sono, ci sono tutte e la cosa mi rasserena.
Premo con i polpastrelli sul braccio, sulla spalla, tocco la clavicola: sento la mia invisibile, scontata e naturale impalcatura e capisco che posso ancora alzarmi. 
Siamo vertebrati, in fondo è facile.
Mi proteggo con storie di raminghi nordici, avvolti dal loro manto di nera solitudine.
Guerrieri, bardi, valchirie, principesse, rune, draghi, cavalli, polvere e campi di battaglia al tramonto, vessili spezzati, sangue sugli scudi, accampamenti viola nel blu di veglie notturne.
Si sta bene, qui dentro. 
E' tutto familiare, conosciuto: è qui che ricordo il mio nome, è qui che posso svelarlo senza che ciò causi dolore.
Non esco più. 
Ripasso i nomi delle mie ossa ad occhi chiusi come una vecchia Ave Maria e sorrido mentalmente: sì, ci sono tutte, proprie tutte.
Alzo il ponte levatoio del mio mondo: è stato imprudente lasciarlo abbassato. 
Ma adesso posso aprire gli occhi, perchè sono sicura di quello che vedranno.


giovedì 13 novembre 2014

No potho reposare



Nella dimensione fluida che mi appartiene, cerco una boa.
Il passato è un gigante di pietra che, a volte atterisce e a volte è un'isola di sicurezza.
La solitudine è il mio Hotel Supramonte di dolore, santuario sterile di preghiere inascoltate e miracoli incompiuti.
Non c'è ritorno, come in un orizzonte degli eventi.
Non c'è ritorno.
L'insensibilità si fa da parte solo al violino del cuore che si scioglie e sparisce, risucchiato tra le costole della necessità.


Ma se ti svegli e hai ancora paura, ridammi la mano.
Cosa importa se sono caduto, se sono lontano.

martedì 11 novembre 2014

Wolf eyes

Solo un'altra notte.
E' solo un'altra, infinita, ennesima e perenne notte.
Nessuna luna, faro bianco, innocenza stellare. 
Solo la tenebra che si allarga.
Ma ormai ho occhi da lupo e ho imparato a sopravvivere.
Ormai, so rifugiarmi nella mia tana, leccarmi le ferite e aspettare in silenzio l'alba.
Non ho bisogno di nessuno, non voglio nessuno che non sia quel piccolo branco di code familiari.
Non c'è nessun demone più spaventoso di me... perchè, io sì, io sono il lupo.
E sparirò nella nebbia così come sono venuto.
Lupo. 
Cosa mai può ferirti, che non sia fucile d'uomo?
Nulla.
Gli uomini non s'addentrano più nella montagna, sono prede dei loro specchi e dei riflessi.
Lupo, non hai da temere.
Chi è solo ha più coraggio, sempre.




mercoledì 5 novembre 2014

The secret

Allerta meteo. Da domani.
Il vento mugghia sul mare mosso delle nuvole, vele disperse nell'oceano blu della notte.
Il mondo si ferma a vedere una partita della Roma.
Prendo in braccio le mie piccole ossa e mi ritiro nelle mie profondità marine.
Sacre. Inviolabili. Inaccessibili.
Rimetto in circolo la voglia di capire gli altri, gli amici, le persone a cui tengo e che mi vivono tutti i giorni. Mi riesce bene, è un gioco che piace, è una compensazione d'emotività che mi fa sfiorare l'idea di cosa significhi davvero assaporare un po' di quella purezza primigenia di cui non ricordo più nemmeno l'odore.
Io, lupo solitario, passo di branco in branco attraverso la neve.
Un branco di prescelti che si nutre di ciò che di buono riesco a dire loro.
Nella sospensione di stati, l'acqua scorre silenziosa.
Nella sospensione di stati, l'acqua si gonfia coi venti e brama distruzione.
Ma in fin dei conti, sono solo un semplice, piccolo fiume che asseconda la propria natura.
Mite e paziente, come l'Euridice di Rilke. A volte, fin troppo.
E in modo mite, sprofondo nella mia amata cupezza da cui niente e nessuno mi toglierà mai.
Zero aspettative, e l'acqua scorre disillusa.
E' questo il segreto.
Voglio solo tornare ai boschi a cui appartengo, voglio solo tornare alla sorgente di tutto.
E ghiacciata, riposare in pace.
Non svegliate il fiume per cose futili. Non svegliatelo: non sapete navigare.




giovedì 11 settembre 2014

Quattro

Desiderio infantile di credere che anche tu abbia passato una buona estate.
Non riesco a venirti a salutare dove tutto è fermo e giace sotto la calotta cranica del marmo bianco funereo vessillo di intaccabili realtà.
Abbiamo guardato un tuo video dopocena, 'tanto per'.
Tanto per far finta di niente.
Effettivamente per un po' ci siamo/ci sono riuscita.
Volgo gli occhi castani e pensierosi alla tua foto che ho in camera, li pianto nei tuoi azzurri e spero di trovare quiete alle domande che ho e a cui ancora non so rispondere.
Annaffiati dalla pioggia radioattiva dell'impellenza perdiamo per strada le perle uniche dei ricordi, unici momenti in edizione limitata di liquide gioie.
Come le nuvole quando il sole vi passa attraverso: si piegano, si deformano, si sciolgono e diventano oro colato.

A te, oro colato.


martedì 22 luglio 2014

17: 47

Dice il testo di una canzone che non c'è cosa più triste dei fumatori fuori dalle porte degli ospedali.
Il fumo di sigaretta è come l'anima violacea di chi aspetta che il tempo dia una risposta positiva ai dubbi di una malattia che corrode, svuota, dilania le ossa e mastica i muscoli.
E alla fine, ti porta via.
Oppure, potrebbe essere il fumo di chi ha un cuore a metà, mentre l'altra metà batte nel petto di chi giace in quelle stanze verdi e bianche, dai corridoi asettici e disinfettati, ripuliti da ogni traccia umana, animale o vegetale: ciò che è solo vita è sempre troppo definito, la malattia è una zona di grigio che annulla i contorni e sbiadisce le forme. 
Odio le zone di grigio, i colori pastello e le sfumature date male, che imbastardiscono la vividezza dei colori e la purezza dei sentimenti.
Sono ancora bloccata in una falsa partenza che sembra riportarmi indietro.
Proprio ora che sapevo come fare.

sabato 10 maggio 2014

Silenzi

Sabato sera. Potrei andare avanti con "Irata" e "Cupe vampe" per altre dodici ore.
Pensieri, grovigli, mea culpa, domande, memorie di una condannata a morte scolpite sulla pietra della prigione si affastellano imperiosi nella mia testa, come carte di un mazzo mal mescolato.
Ma non c'è più niente e niente è più importante.
In un altalena di ottimismo, crudezza, malinconia e fiamme arcuate di residui d'odio, attendo calma l'esito finale. Una fine c'è sempre. 
Una fine naturale, biologica, senza troppe pretese razionalistiche o vampe incolori ed oniriche.
Al centro, io.
Dopo, non lo so.

giovedì 27 marzo 2014

Garbage

Il tempo è un vento freddo di dicembre che sferza gli abeti e le ali dei merli. 
Primavera dorme nervosa sotto cuscini di neve e gela i germogli di aprile.
Manifesti di campagne elettorali, volantini di buona pasqua, che Cristo è quasi risorto
ringraziamenti alla messa in memoria di Annina,
assemblee dei citadini, sportelli della posta, ragazzini mandrie da scuola,
da ingozzare con mangimi sintetici come polli appesi per il collo,
e soldi che non ci sono mai
non ci sono soldi
non ci sono soldi
mariti cornuti e mogli insoddisfatte, la Grottaferrata bene si erge maestosa
nei profili di macchine lucide a fari spenti.
Faccio una domanda semplice a tavola
il mio inquisitore vi legge indecisione
è irritato come un poliziotto a fine giornata
che mi trova 5 grammi di marjuana
e dice che non devo mai traballare.
Il mondo meccanicistico ripudia l'insicurezza
anche se il poliziotto non comprende la mia domanda.
In fin dei conti, non me ne frega niente,
ma proprio niente.


mercoledì 12 marzo 2014

Seconda Navigazione

Se mi venisse concesso il tempo per una seconda navigazione, seguirei lo scirocco dolce per tutta la vita.
Di notte dormirei su isole azzurre e bianche di conchiglie, fuggirei dai pescherecci sul dorso di delfini argentati, imparerei cose da chi ne sa più di me con l'animo puro e limpido di un cucciolo d'uomo.
Ma il tempo grigio e funereo dei modern times è imprenditore di se stesso e ci spinge in borsa con gomitate d'odio feroce, una camicia bianca da cambiare ogni mattina e mali covati dentro come tumori irreparabili, come caffè freddi amari sui banconi di bar alle nove di sera
e tramezzini ammuffiti sotto i vetri del bancone,
e un feto nel grembo sterile di casualità frenetiche,
nato abbastanza prematuro con polmoni inermi ed insensibili all'aria.
Ma tu che mi spingi per mare, ai venti ed alle acque di una seconda navigazione,
credi davvero che possa navigare anche per te?
Mi piace pensare che credi sia così e t'assecondo,
piegando la testa due volte: come un undici.
Un numero doppio di se stesso, gemello e fratello,
che non è solo, mai.
Undici febbraio.
Come le stelle doppie della costellazione del Delfino,
a cui, forse, tu sei vicino.



martedì 28 gennaio 2014

Ginocchia sbucciate

Quando chi ti ha messo al mondo ti spia in silenzio, aspettando la tua rovina e il tuo disastro per poi sbatterti in faccia quel "Te l'avevo detto", la vita non è il massimo.
Resisto e digrigno i denti come un cane, carponi come un lottatore di wrestler sull'orlo del fallimento.
Come al liceo, quando le ore di educazione fisica ci svuotavano e stremavano, costringendoci a nasconderci dietro ai cespugli tra un giro di campo e l'altro.
Come quando da piccola, consapevole del pericolo di frenare sul brecciolino in piena discesa, premevo con forza le dita sui freni ed ogni volta finivo brutalmente per terra, tra la polvere marrone... mi sentivo stupida, sciocca ed in testa riuscivo ad udire la vocina di mia madre che mi diceva: " Ma quanto sei cretina!", ma anche coraggiosa e un po' ribelle mentre guardavo ammirata quelle ginocchia sbucciate, sanguinanti e dolenti.
Come quando a dieci anni, ho sfidato le altezze e le vertigini ed in risposta a mia madre che mi aveva dato della "paurosa" perchè mi ero rifiutata di andare con una mia compagna nella casa stregata di un Luna Park, ero salita impavida su una bicicletta sospesa su una fune: guardavo atterita in basso, oltre la rete di protezione e vedevo una moltitudine di volti impazienti... impazienti di assistere ad una mia rovinosa caduta (per quanto la rete mi avesse protetto, il mio orgoglio ne sarebbe uscito a pezzi) o ad un mio traguardo, situato dalla parte opposta del filo? Non lo saprò mai e, in fin dei conti, poco importa.
Ecco, da questi episodi sembrerei una persona decisamente coi controcoglioni, in realtà non lo so neanch'io come sono, forse so solo come -non- sono e non ne uscirebbe comunque un bel ritratto.
Forse in tutti questi anni, una sola cosa ho imparato a fare: resistere.
Resistere, a dispetto di tutti e tutto, con l'animo fiaccato e la schiena ricurva, contro il dolore che pur lascio scorrere nelle mie vene e che si lega in un abbraccio eterno ai globuli del mio sangue. Contro il perenne senso di soccombere, presto o tardi, di lasciare che questi selvaggi bracconieri mi cavino gli occhi e mi strappino la pelliccia e il cuore, una volta per tutte.
E' un post diretto ed esplicito questo... forse il primo che scrivo in questo modo. Ma l'ho fatto solo perchè ho la certezza che c'è scarsissima probabilità che qualcuno lo legga e la cosa mi disinibisce. A che servono poesie e prose criptiche quando l'agonia necessita di crudezza?
Ho sentito dire, ma non vorrei sbagliarmi, che gli spermatozoi recanti il cromosoma X sono i più resistenti anche se più lenti: mi allevia cercare cause genetiche al mio strano regime, la base scientifica mi permette, in minima parte, di provare a leggere il futuro.
Forse arriverà il momento in cui cesserò di dibattermi come un pesce appena pescato.