sabato 29 novembre 2014

All souls night



L'odio e l'indifferenza tagliano l'aria notturna come fosse tenera carne di una grande dea dalla pelle scura che giace addormentata, invisibile e nervosa.
Va bene così.
Tutto è compiuto,  tra i lamenti degli insonni del sabato sera, tra le trame oscure di chi si professa paladino o cavaliere alla ricerca di chissà quale drago.
Le anime della notte dormono inquiete.
Le anime della notte sono tutte unite, legate da forze occulte, paradossali catene d'arroganza ed egotismo.
Le anime della notte si ritroveranno tutte insieme, perchè si assomigliano tutte.
In fondo alla notte, oltre questo buco nero che risucchia memorie, ricordi, fili elettrici emozionali, si erge splendente il tempio di Ananke imperiosa, dove i cuori travagliati trovano riparo sin dalla notte dei tempi.
Gli occhi si chiudono, le tempie si bagnano di fortezza, Fortitudo dorata, e la mente insegna al cuore a resistere, a proteggere l'umida, sanguinante e virginale Verità che ciascuno, a suo modo, porta dentro di sè.
Spiegazzata come una sindone su un sepolcro di marmo, o un lenzuolo di nozze macchiato dall'emblematica prova di un imene lacerato, steso davanti a occhi maliziosi e indiscreti.
Le anime della notte sono simili ma inconoscibili tra di loro: sterminano etnie ed alzano pire su cui bruciano i cadaveri anneriti da ottuse convinzioni di plastica.
Stupri di guerra.
Utero cerebrale ferito.
I vortici di Ananke non confondono, ma tagliano la sottile lingua melliflua della bocca di sinapsi impazzite.

mercoledì 26 novembre 2014

S. Sebastiano

Ancora una volta.
Un letto di legno, pareti bianche, una foto di famiglia al muro.
Un computer pronuncia frasi con voce asettica e metallica.
Le tue mani, che prima pizzicavano le corde di una chitarra, sono ora serrate ai bordi di quel letto.
Gli occhi azzurri e lucidi, sono fissi allo schermo luminoso del computer agganciato a un braccio metallico.
Il polmone metallico respira con fiato alieno, meccanico, ripetitivo, come stesse gonfiando le membra di un uomo di gomma.
Non ero pronta a questo, non ero preparata.
La piccola stanza troppo calda, di un candore marmoreo, s'interseca nella memoria con quella di un Policlinico di tanti anni fa. 
I battiti nel mio petto scivolano in successione come gocce di cera di una candela a metà.
Mi aggrappo con lo sguardo a particolari stupidi e insignificanti: le tende all'uncinetto, forse troppo trasparenti, il quadro al muro che raffigura un uomo che dorme per terra, ai margini di un portone ("Che sia il suonatore Jones?" penso di fretta), le medicine accatastate su un mobile smaltato di bianco, le macchine che cooperano insieme come robot squadrati dai volti al plasma.
Ananke. Ancora una volta.
Mi torna in mente San Sebastiano trafitto da un mare di frecce: il volto bianco al cielo, gli occhi vitrei a cercare la mano di un dio tra le nuvole e il corpo inchiodato a un palo.
Lo stomaco si accartoccia come una foglia secca e mi concedo il diritto di piangere.



martedì 25 novembre 2014

Ananke


Cloto, Lachesi e Atropo.
Un destino ineluttabile, già filato, già teso, già segnato, in un punto preciso, dalla lama della forbice.
Gli eventi si inchinano alle mie previsioni, come se fossi una quarta Moira.
Spezzo il collo ai miei demoni in un bagno d'odio e di sangue, ma essi, come idra potenti si rigenerano: le teste da serpente, le fauci grondanti densi umori nerastri.
Questo è il mio Universo, qui non entra nessuno.
Finalmente, capisco.
Finalmente la vividezza dei sogni notturni illumina la verità.
La annuso, ne sento l'odore acre, so che è vicina anche se non riesco a vederla.
ANANKE.
Anche gli dei s'inchinano ad essa.
La madre delle Moire.
L'inalterabilità del fato, la forza, la necessità delle leggi della natura.
Il ferrettiano "Ciò che deve accadere, accade" mi si para davanti con tutta la sua orrorifica possente presenza.
Respiro il tremore che emana Ananke, chino la testa e obbedisco, assecondando un disperato magnetismo che, finalmente, mi rende padrona di me stessa.

The name of the rose

Dolore frontale pulsa compulsivo con prepotenza dittatoriale.
Bandiera bianca, un Moment e scivolo nel sonno.
Scendo le scale di pietra polverose. Buio e umidità sono i sovrani e penetrano imperiosi nelle ossa.
Una cripta, o forse una cella monacale poco illuminata mi si para alla fine delle scale.
Sussurri ascetici, tuniche nere disposte in circolo: il mio occhio vola sulle teste velate e scopre un piccolo letto drappeggiato di nero. Un monaco vi dorme, la pelle sottile solcata dalle rughe è un mare disteso e rassegnato al riposo eterno. 
Preghiere, incenso nell'aria e la Morte accarezza la Vita poggiandole un dito sulle labbra.
Una vecchia suora mi guarda, sfoggiandomi un sorriso isterico e insensato: ha un naso ricurvo, labbra sottili come sentieri imprecisi di terre nordiche e occhi sporgenti, languenti e lucidi, velati da una vecchiaia di demenza e verità schietta.
Mi parla piano e con voce trasognata chiede di sciogliermi i capelli.
Sgrano gli occhi, ma accolgo quella proposta priva di logica con obbedienza automatica: mi sfilo l'elastico e li lascio cadere sulle spalle e la schiena.
Quand'ecco che il monaco lascia scivolare la testa oltre il cuscino e, ripiegando il collo in modo innaturale, spalanca gli occhi azzurri di colpo. 
Si alza dal torpore dell'agonia come se si fosse ripreso da un dormiveglia pomeridiano.
Lo fisso, ha lo stesso volto della vecchia suora alienata di prima: orbite vuote ma cariche di assennatezza irreale mi scrutano il fondo degli occhi per dirmi: "Ero io la Morte. Ma ho deciso di svegliarmi".
E, allungando la gracile mano bianca verso di me, sorride con serafico e lunare appagamento.




giovedì 20 novembre 2014

Snake dreams



Tre serpenti spuntano dalle trame di una catasta di tappeti persiani.
Il primo scivola via veloce, strisciando a zig zag. 
Il secondo, enorme, giallo, scaglie lucide punteggiate di nero, apre le fauci come un mostro marino e risucchia il corpo snello del terzo, il più piccolo dei tre. 
Ne resta parte della coda fuori dalla bocca, a contorcersi e acquietarsi sotto i colpi della falce silenziosa dell'agonia.
Dolore animale.
Dolore universale.
Dolore molecolare.
Mi sveglio.
Atlante regge il mondo là fuori, sotto i caotici rombi da guerra.
Il carro del sole è già alto, ma i tre serpenti s'avvinghiano alla mia corteccia cerebrale e la stringono, causandone un'emorragia. 
Poi allentano la stretta, e la luce dalla finestra riscalda l'aria e i pensieri. 
Ma loro, là dentro, strisciano, scivolano come gocce di pioggia sui vetri della memoria e riprendono a stringere.
Notte. Birra rossa. Egotismo. Me lo ripeto a mente, mentre il serpente giallo lecca le mie sinapsi.

Slow down and I sail on the river
Slow down and I walk to the hill


Ringhio, il serpente giallo striscia lontano e mi lascia chiudere gli occhi.
Le pupille si sposano al buio della camera.
Il sangue fluisce lento e la luna si alza nel cielo freddo di novembre.

domenica 16 novembre 2014

Ossa


Conto le ossa.
Dura materia oltre la carne tenera.
Ci sono, ci sono tutte e la cosa mi rasserena.
Premo con i polpastrelli sul braccio, sulla spalla, tocco la clavicola: sento la mia invisibile, scontata e naturale impalcatura e capisco che posso ancora alzarmi. 
Siamo vertebrati, in fondo è facile.
Mi proteggo con storie di raminghi nordici, avvolti dal loro manto di nera solitudine.
Guerrieri, bardi, valchirie, principesse, rune, draghi, cavalli, polvere e campi di battaglia al tramonto, vessili spezzati, sangue sugli scudi, accampamenti viola nel blu di veglie notturne.
Si sta bene, qui dentro. 
E' tutto familiare, conosciuto: è qui che ricordo il mio nome, è qui che posso svelarlo senza che ciò causi dolore.
Non esco più. 
Ripasso i nomi delle mie ossa ad occhi chiusi come una vecchia Ave Maria e sorrido mentalmente: sì, ci sono tutte, proprie tutte.
Alzo il ponte levatoio del mio mondo: è stato imprudente lasciarlo abbassato. 
Ma adesso posso aprire gli occhi, perchè sono sicura di quello che vedranno.


giovedì 13 novembre 2014

No potho reposare



Nella dimensione fluida che mi appartiene, cerco una boa.
Il passato è un gigante di pietra che, a volte atterisce e a volte è un'isola di sicurezza.
La solitudine è il mio Hotel Supramonte di dolore, santuario sterile di preghiere inascoltate e miracoli incompiuti.
Non c'è ritorno, come in un orizzonte degli eventi.
Non c'è ritorno.
L'insensibilità si fa da parte solo al violino del cuore che si scioglie e sparisce, risucchiato tra le costole della necessità.


Ma se ti svegli e hai ancora paura, ridammi la mano.
Cosa importa se sono caduto, se sono lontano.

martedì 11 novembre 2014

Wolf eyes

Solo un'altra notte.
E' solo un'altra, infinita, ennesima e perenne notte.
Nessuna luna, faro bianco, innocenza stellare. 
Solo la tenebra che si allarga.
Ma ormai ho occhi da lupo e ho imparato a sopravvivere.
Ormai, so rifugiarmi nella mia tana, leccarmi le ferite e aspettare in silenzio l'alba.
Non ho bisogno di nessuno, non voglio nessuno che non sia quel piccolo branco di code familiari.
Non c'è nessun demone più spaventoso di me... perchè, io sì, io sono il lupo.
E sparirò nella nebbia così come sono venuto.
Lupo. 
Cosa mai può ferirti, che non sia fucile d'uomo?
Nulla.
Gli uomini non s'addentrano più nella montagna, sono prede dei loro specchi e dei riflessi.
Lupo, non hai da temere.
Chi è solo ha più coraggio, sempre.




mercoledì 5 novembre 2014

The secret

Allerta meteo. Da domani.
Il vento mugghia sul mare mosso delle nuvole, vele disperse nell'oceano blu della notte.
Il mondo si ferma a vedere una partita della Roma.
Prendo in braccio le mie piccole ossa e mi ritiro nelle mie profondità marine.
Sacre. Inviolabili. Inaccessibili.
Rimetto in circolo la voglia di capire gli altri, gli amici, le persone a cui tengo e che mi vivono tutti i giorni. Mi riesce bene, è un gioco che piace, è una compensazione d'emotività che mi fa sfiorare l'idea di cosa significhi davvero assaporare un po' di quella purezza primigenia di cui non ricordo più nemmeno l'odore.
Io, lupo solitario, passo di branco in branco attraverso la neve.
Un branco di prescelti che si nutre di ciò che di buono riesco a dire loro.
Nella sospensione di stati, l'acqua scorre silenziosa.
Nella sospensione di stati, l'acqua si gonfia coi venti e brama distruzione.
Ma in fin dei conti, sono solo un semplice, piccolo fiume che asseconda la propria natura.
Mite e paziente, come l'Euridice di Rilke. A volte, fin troppo.
E in modo mite, sprofondo nella mia amata cupezza da cui niente e nessuno mi toglierà mai.
Zero aspettative, e l'acqua scorre disillusa.
E' questo il segreto.
Voglio solo tornare ai boschi a cui appartengo, voglio solo tornare alla sorgente di tutto.
E ghiacciata, riposare in pace.
Non svegliate il fiume per cose futili. Non svegliatelo: non sapete navigare.