sabato 31 marzo 2012

On the road


Non sono una filoamericana, anzi.

Mio padre nacque a Derby, nel Connecticut e ho sempre sentito parlare degli Stati Uniti in toni entusiastici, indorati da quella filosofia insita nei figli di generazioni di emigranti cullati dal Sogno Americano. Ma se avessi un surplus di denaro (ah-ah-ah-ah!) morirei dalla voglia di farmi un Coast to Coast, lungo, ampio, morbido, un New York - San Francisco (o Los Angeles) che non tocchi gli aspetti banali delle due città ma le ponga solo come estremi di una meta: quello che m'interessa sta nel mezzo.
Le riserve indiane, le stradone polverose color rame, le piane desertiche di miglia perse nel niente, i motel da due soldi con le scritte acide al neon...per non parlare delle città capitali della musica. Niente Tiffany e Hollywood & Co., ma rocce rosse e spazi immensi, pensati in grande per una terra enorme che ha generato mentalità adatte a quel tipo di ambiente con grattacieli slanciati nel vuoto del blu, fino a portare gli uomini sulla luna, in senso reale e fittizio, cinematografico.
Invece noi piccoli europei, vecchi e malinconici, ripiegati su noi stessi, sui nostri piccoli mari, nelle piazzette di marmo tra gli angoli di un bar, con sogni intessuti da ragni fatti per pensare e meditare sulle fluidità di una Venezia, una Trieste un po' asburgica, una Roma ancora gladiatrice. Siamo e saremo per sempre i vecchi nonni della giovane America adolescente, che chissà se ricorda di aver da qualche parte dormito i primi sonni ed imparato a lasciare andar via i primi lunghi ed ampli respiri, nella piccola e tarlata culla europea di preziose coperte barocche.
Resta il fatto che io un Coast to Coast prima di morire me lo farei.

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