mercoledì 4 aprile 2012

Il ritorno di Giuseppe


Ogni volta che s'avvicina Pasqua o Natale, mi gira di sentirmi tutta La Buona Novella, entrando così più che nel mistero divino, nel fitto di quello umano.
Comunque, fermo restando che ogni canzone di quell'album è un piccolo prodigio a sè nel senso pieno del termine, trovo sconvolgente la perfezione metrica, stilistica e retorica de Il ritorno di Giuseppe: preciso che la mia preferita è senza dubbio Il sogno di Maria che segue subito dopo, ma è ampia, ariosa, lascia spazio ad immagini, luci e colori che ognuno può fabbricarsi nella propria testa.
Il sogno di Giuseppe è incredibilmente pura e perfetta nella sua oggettività: le visioni sgorgano subito dalle parole che s'incastrano come in un domino poetico e la rima di ogni strofa, del secondo e quarto verso pare che faccia tendere verso l'assonanza anche il primo ed il terzo.
Questa canzone è una perla rinascimentale, pulita, fine e rotonda:

Stelle, già dal tramonto,
si contendono il cielo a frotte,
luci meticolose
nell'insegnarti la notte.

Il delicato paesaggio serale, introduce la vicenda: Giuseppe sta tornando in Galilea verso casa, accompagnato dalle prime stelle, uniche luci nel deserto, ma perfettamente chiare e visibili tanto da fare le veci di piccole lucerne. La notte scende nel deserto, e Giuseppe si affida alla luce delle stelle. Penso che non ci sia niente di più poetico.

Un asino dai passi uguali,
compagno del tuo ritorno,
scandisce la distanza
lungo il morire del giorno.

Ed ecco che dal paesaggio mediorientale, l'attenzione si sposta sull'immancabile ed infaticabile compagno di viaggio dell'umile falegname, l'asinello grigio che anche nei Vangeli ufficiali occupa spazio: il mite animale dai passi uguali connota la monotonia del lungo viaggio verso casa, sempre uguale a se stesso se non fosse scandito dalla danza del giorno e della notte. Giuseppe è come il suo asinello, instancabile, tenace, umile ed i loro passi che scivolano tra le dune di sabbia, vanno all'unisono per ritmo e cadenza.

Ai tuoi occhi, il deserto,
una distesa di segatura,
minuscoli frammenti
della fatica della natura.

Ed anche il deserto entra nella prospettiva del falegname, forse frutto di un pensare troppo macchinoso e monotono: la sabbia è una distesa di segatura, come fosse legno tagliato finemente dall'azione lenta della Natura-Falegname. E i pensieri s'intrecciano e s'incastrano al limite del sogno, come talvolta accade durante i lunghi viaggi.

Gli uomini della sabbia
hanno profili da assassini,
rinchiusi nei silenzi
d'una prigione senza confini.

Chi sono gli uomini della sabbia? Forse i nomadi del deserto, i Tuareg, che nella notte si spostano silenziosi rinchiusi nella vastità di uno spazio che sembra infinito? E nella notte si sa, ogni forma o profilo muta e diviene orrenda ed inquietante.

Odore di Gerusalemme,

la tua mano accarezza il disegno
d'una bambola magra,
intagliata del legno:
"La vestirai, Maria,
ritornerai a quei giochi
lasciati quando i tuoi anni
erano così pochi."

L'odore della città, ormai vicina, interrompe la monotonia lacerante del cammino: ecco l'odore di casa, di famiglia e della donna amata, che più che una donna è ancora una bambina. Infatti Giuseppe reca con sè una bambola di legno da donare alla sposa-bambina, lasciandole ancora il tempo del gioco prima dei doveri matrimoniali: Maria è fortemente rispettata da Giuseppe, che ne preserva l'innocenza e la spontaneità, come farebbe con una figlia.

E lei volò fra le tue braccia
come una rondine,
e le sue dita come lacrime,
dal tuo ciglio alla gola,
suggerivano al viso,
una volta ignorato,
la tenerezza d'un sorriso,
un affetto quasi implorato.

Dal pensiero si passa subito all'azione: ecco Maria che si getta al collo dello sposo con un salto, volando quasi come una rondine, ed è delicatissima la metafora che ne segue, che sottolinea la giovinezza e la freschezza della piccola sposa. Le dita di lei, sottili e come lacrime perchè si muovono dal ciglio al collo, in una lunga carezza, vogliono quasi indicare allo sposo, la pietosa richiesta del calore di un sorriso, un affetto implorato dal marito-genitore di cui ha bisogno la bambina per crescere e che volendo, può anticipare i motivi principali della strofa successiva.

E lo stupore nei tuoi occhi
salì dalle tue mani
che vuote intorno alle sue spalle,
si colmarono ai fianchi
della forma precisa
d'una vita recente,
di quel segreto che si svela
quando lievita il ventre.

Magistrale descrizione di alta poesia, per indicare sottilmente, alludere quasi, all'evento delicato della gravidanza. Giuseppe si stupisce e sgrana evidentemente gli occhi, (lo stupore sale dalle mani negli occhi perchè ha toccato con mano, in modo sensoriale e veritiero, non c'è dunque alcuna possibilità di errore o equivoco) quando facendo scivolare le mani dalle piccole spalle di Maria, arriva a cingerne i fianchi arrotondati dalla gravidanza, che conferiscono al ventre di donna una forma precisa, tonda, inconfondibile.
I fianchi prosperosi, che colmano le mani del falegname, sono dunque il marchio del segreto svelato, del mistero risolto e forse anche di quell'affetto implorato nella precedente strofa: Maria è incinta. Pochi versi in una lunga perifrasi che accolgono, proteggono e non svelano, l'intimità dell'evento.

E a te, che cercavi il motivo
d'un inganno inespresso dal volto,
lei propose l'inquieto ricordo
fra i resti d'un sogno raccolto.

Gli ultimi versi sono per Giuseppe, l'uomo non partecipe ancora del mistero divino, incredulo, confuso e smarrito: egli sonda l'espressione della sposa che di colpo non è più bambina, cercando traccia di una qualche bugia o inganno. Invece, soavemente come quel volo di rondine tra le sue braccia, Maria comincia a raccontare il sogno che racchiude la visita dell'angelo e la conseguente annunciazione.
E qui il pezzo si chiude, piano come un sipario che si abbassa, allacciandosi subito a Il sogno di Maria.

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