Tre serpenti spuntano dalle trame di una catasta di tappeti persiani.
Il primo scivola via veloce, strisciando a zig zag.
Il secondo, enorme, giallo, scaglie lucide punteggiate di nero, apre le fauci come un mostro marino e risucchia il corpo snello del terzo, il più piccolo dei tre.
Ne resta parte della coda fuori dalla bocca, a contorcersi e acquietarsi sotto i colpi della falce silenziosa dell'agonia.
Dolore animale.
Dolore universale.
Dolore molecolare.
Mi sveglio.
Atlante regge il mondo là fuori, sotto i caotici rombi da guerra.
Il carro del sole è già alto, ma i tre serpenti s'avvinghiano alla mia corteccia cerebrale e la stringono, causandone un'emorragia.
Poi allentano la stretta, e la luce dalla finestra riscalda l'aria e i pensieri.
Ma loro, là dentro, strisciano, scivolano come gocce di pioggia sui vetri della memoria e riprendono a stringere.
Notte. Birra rossa. Egotismo. Me lo ripeto a mente, mentre il serpente giallo lecca le mie sinapsi.
Slow down and I sail on the river
Slow down and I walk to the hill
Ringhio, il serpente giallo striscia lontano e mi lascia chiudere gli occhi.
Le pupille si sposano al buio della camera.
Il sangue fluisce lento e la luna si alza nel cielo freddo di novembre.
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